Dalla Nouvelle vague a oggi: le nuove voci della letteratura in Sardegna

Ignazio Caruso
6 min readOct 21, 2022
Grazia Deledda, cerimonia consegna Pemio Nobel per la Letteratura. 1927.

Era l’alba del terzo millennio e Goffredo Fofi — insieme al mercato editoriale nazionale e internazionale — consacrava autori e autrici dell’isola parlando di Nouvelle vague, raccontando una Sardegna in grado, dal punto di vista artistico, di «dare lezione al continente». Una rinascita, o meglio riscoperta, dell’isola come centro di produzione letteraria, un’onda che, passato ormai un ventennio, non sembra arrestarsi e, anzi, vede scrittori e scrittrici continuare a emergere, tanto che, e la tentazione ritorna ciclicamente, verrebbe quasi da parlare di Nouvelle vague 2.0.

Ma si proceda con ordine: si parta dai maestri. Interpellati a proposito, Marcello Fois e Francesco Abate paiono concordare su alcuni punti, partendo proprio dalla definizione del fenomeno nato nel secolo scorso: «Innanzitutto», spiega Fois, «parlare di rinascita della letteratura sarda non aveva senso allora, figuriamoci oggi. Dalla rivoluzione di Deledda in poi c’è sempre stata una continuità, non ci sono stati buchi. Tutti oggi possono parlare di una letteratura sarda millantando che prima non ci fosse, ma semplicemente non la conoscevano: la Sardegna non ha mai smesso di produrre». E dunque, perché questa definizione ebbe tanta fortuna? Per Fois «la definizione sta in piedi solo se si pensa da “colonizzati”: siamo stati una letteratura “abusiva” nel mercato nazionale per molti anni, ma dobbiamo capire che non esistiamo in funzione del mercato editoriale nazionale o internazionale: esistiamo a prescindere».

«La Nouvelle vague fu un picco di attenzione generale rispetto alla narrativa sarda», gli fa eco Abate, «ma non c’erano tematiche in comune, ognuno aveva un proprio stile e non appartenevamo tutti alla stessa generazione. Scrittori e scrittrici raccolsero quello che in tanti avevano seminato, ma ebbero anche il merito di lasciare il campo ben arato e fertilizzato, non solo dal punto di vista letterario, ma anche commerciale».

E le nuove generazioni? Per Abate «dal punto di vista della fruizione l’autore sardo oggi è richiesto, la strada è già aperta, non resta che percorrerla. Ma le nuove leve non interessano solo perché sono sarde, perché si caratterizzano anche dal punto di vista generazionale». «L’autore sardo è richiesto, è vero, ma questo non significa che debba lavorare di meno», aggiunge Fois: «Non ci sono regole fisse: l’unica regola è che se vieni invitato a tavola devi saper usare le posate. Alcuni le usano troppo, altri non le usano affatto. Per questo alcuni resteranno e altri no».

Ed è grazie a questo terreno «arato e fertilizzato» che, negli ultimi anni, molti autori e autrici sono sbocciati sulla scena letteraria nazionale. Abbiamo chiesto ad alcuni di loro di raccontarci, in breve, il proprio rapporto con l’isola e la sua tradizione letteraria.

Giovanni Gusai — Come in cielo, così in mare, SEM, 2021

Scrivere a Nuoro significa fare i conti con i giganti della letteratura sarda e convivere con la possibilità di demolire gli stereotipi. Qui si impara che la letteratura libera dalle subalternità. Alla Deledda devo la consapevolezza: non esistono le scuse. Volontà, talento e fatica sono sufficienti. E Salvatore Satta dimostra che se scrivi così tanto bene, con così tanto cuore, basta una trama semplicissima. Chiunque sia giovane e scriva, in Sardegna e ovunque nel mondo, non deve che imitarli.

Vanni Lai — finalista Premio Calvino, in uscita nel 2023, Minimum Fax

Penso che i nuovi autori debbano guardare avanti senza farsi attrarre dal giogo di chi è arrivato prima. Spesso, infatti, siamo rimasti ancorati a dei cliché e che erano cliché già cinquant’anni fa, penso a quelli di una Sardegna arcaica. Quando ho iniziato a scrivere ho tentato di non farmi influenzare dalla tradizione, spesso scegliendo deliberatamente di non leggere alcuni dei testi fondamentali, che ho poi recuperato in seguito. È giusto guardare indietro, ma con la consapevolezza di provare a dare originalità a ciò che si scrive oggi, calandosi nel contemporaneo.

Nicola Muscas — Isla bonita. Amori, bugie e colpi di tacco, 66thand2nd, 2021

Al di là delle letture fondamentali, comuni a molti di noi, per me sono stati molto importanti i festival letterari. Mi hanno permesso di capire (a me che sono diventato un lettore forte piuttosto tardi) che i libri non sono soltanto qualcosa di polveroso chiuso in una biblioteca, ma strumenti che dentro hanno la vita, capaci di creare comunità, di farmi stare bene. Su tutte sento l’influenza di Sergio Atzeni: citando Paola Soriga, in alcuni scrittori che sono venuti dopo, la sua eredità è forte ed evidente, “in altri meno o molto meno, ma in tutti quanti c’è dentro Atzeni, non potrebbe non esserci”.

Matteo Porru — Premio Campiello giovani, in uscita nel 2023, Garzanti

La tradizione letteraria sarda è per me un punto di riferimento, non solo come temi ma anche come punto di vista che si ha sulle storie. Ho amato da subito Sergio Atzeni, ho amato molto Giuseppe Dessì (Lei era l’acqua) e Grazia Deledda (La madre). Amo andare a scoprire le opere minori dei grandi, scoprire come un autore possa appartenerti anche se distante anni luce, e trovo questa lontananza preziosa per il mio mestiere di scrittore.

Lorenzo Scano — Via libera, Rizzoli, 2021

Il mio rapporto con la tradizione letteraria isolana è quello di un giovane autore che cerca di leggerne, studiarne e conoscerne gli autori del passato e del presente per meglio comprendere come proporre una mia narrazione che ai grandi si riallacci ma con una sua originalità. Sono enormemente in debito con Sergio Atzeni e Francesco Abate, specie il primissimo Abate (quello de Il cattivo cronista e I ragazzi di città) per l’enorme influenza su temi e stile che presento.

Mauro Tetti — Nostalgie della terra, Italo Svevo Edizioni, 2021

Il percorso della scrittura deve misurarsi costantemente con la tradizione, per rispettarla e arricchirla nel contempo, deve proiettarsi in un contesto più ampio. Dovrei immaginare una biblioteca personale dove stili e temi si intrecciano, ma sarebbe impossibile perché io stesso dimentico o ignoro come siano andate le cose. Per comodità dico di romanzi vivi e imprescindibili, ma di autori morti: Il giorno del giudizio, Paese dombre, Po Cantu Biddanoa, Le fiamme di Toledo. Per la stesura dell’ultimo Nostalgie della terra, è stata fondamentale la lettura di una novella di Grazia Deledda.

Valeria Usala — La rinnegata, Garzanti, 2021

Il rapporto con la nostra tradizione è meno approfondito di quanto vorrei, ma molto più viscerale di quanto avrei immaginato qualche anno fa. Credo che la nostra terra e la nostra letteratura siano colme di tradizioni e magia. Poter leggere qualcosa a cui ci sentiamo di appartenere in quanto sardi non è solo un regalo, ma più di tutto un grande privilegio. Grazia Deledda, per me, ha saputo raccontare meglio di tutti la nostra terra attraverso i desideri e le imperfezioni umane, con una precisione e una potenza inarrivabili. Ogni volta che ho lasciato la Sardegna ho messo in valigia una copia de La madre: è stato un piccolo portafortuna e, insieme, un prezioso breviario.

Ilenia Zedda — Nàccheras, DeA Planeta, 2020

Se esiste uno stile a cui possiamo tendere, è più un movimento, un suono che abbiamo ereditato dai grandi prima di noi. Parlo di Fois, di Pitzorno, di Deledda. Un suono che possiamo plasmare nella modernità e nel nostro nuovo vivere la letteratura. Che può essere una prima persona digitale, per esempio, ma pur sempre legata a quel movimento, all’onda arcaica che continua a trascinarci. Il mio confronto, in questo momento, con uno scrittore sardo che può avvicinarsi alle storie che sto scrivendo, è sicuramente con Francesco Abate. Per il suo ritmo, per la sua meticolosità e per la sua infinita voce di speranza.

Emerge, così, una nuova generazione evidentemente consapevole della propria posizione nel mondo, grata alle precedenti che hanno aperto il sentiero, reciso i rami più pericolosi, cavato via le pietre più appuntite, ammorbidito la terra; una generazione capace allo stesso tempo di volgere lo sguardo avanti, oltre il mare e oltre il tempo; perché, per dirla con Salvatore Satta, «in definitiva ognuno vuole essere sé stesso con la sua consapevole mediocrità». Non è dunque l’onda, forse, l’immagine più adatta a descrivere le vicende della letteratura in Sardegna, che invece sono più simili allo scorrere di un fiume, cui tutti si abbeverano in un lento e continuo fluire, germogliare, raccogliere. «Avrò fra poco vent’anni», scriveva Grazia Deledda nel 1890, «a trenta voglio aver raggiunto il mio radioso scopo quale è quello di creare da me sola una letteratura completamente ed esclusivamente sarda». Perché se un fiume ci deve essere, non può essere fiume senza sorgente.

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Ignazio Caruso

Nato a Catania, vivo ad Alghero. Adeu (Giulio Perrone Editore) è il mio primo romanzo.