Punta Giglio: conversione o speculazione?

Ignazio Caruso
3 min readAug 31, 2021

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La prima volta che entrammo nella ex Batteria “Sr. 413” di Punta del Giglio, per noi semplicemente “La Caserma”, eravamo ancora al liceo, o meglio, quel giorno non eravamo affatto al liceo, visto che la mattinata prevedeva il peggio che potesse capitare in un edificio scolastico: verifica scritta di matematica sugli integrali; ritenemmo opportuno quindi, considerati i 24 assolati gradi di quel lunedì d’aprile, saltare in groppa ai nostri cinquantini e cavalcare verso la scoperta di nuovi mondi: fu Michele, oggi ingegnere ambientale, a decidere che il nostro nuovo mondo quel giorno sarebbe stato Punta Giglio («Lì non ci scoprirà nessuno» disse).

Negli ultimi anni, il sentiero che dalla strada asfaltata di Porto Conte si inerpica per il Parco fino alla caserma e agli altri edifici antiaerei è stato riqualificato e reso accessibile per piacevoli escursioni; all’epoca, però, non era così, e se si era abbastanza non curanti dei danni che radici sporgenti, pietre acuminate, crateri fangosi avrebbero potuto provocare al proprio mezzo, allora se ne poteva percorrere un lungo tratto anche su un cinquantino, imprecando per ogni botta o scossone. (Non sono sicuro fosse legale, in caso contrario confermo che tali avvenimenti sono frutto della mia immaginazione).

La Caserma aveva il fascino tipico dei luoghi abbandonati, della rovina, eppure quelle quattro mura scalcinate brulicavano di vita: come i graffiti lasciati nelle grotte dai primi uomini del mondo, infatti, migliaia di scritte tappezzavano le sue pareti, raccontandoci qualcosa. A cominciare da quelle di chi la caserma l’aveva abitata per la prima volta: Quando tuona il cannone è veramente la voce della Patria che chiama / Se per gli altri il Mediterraneo è una strada, per noi Italiani è la via / Credere. Obbedire. Combattere / Vincere e Vinceremo.

Leggere quelle scritte era per noi un fenomeno surreale: significava che la storia studiata sui libri era «successa veramente», come disse Giulia, «anche in Sardegna, anche ad Alghero e anche qui, a Punta Casino» (così si riferì Giulia a Punta Giglio, evidenziandone la sua distanza dalla ciutat). Oltre alla Storia, però, la caserma raccontava anche un dedalo di piccole vicende (Tiziano è stato qui, 1996), amori viscerali (Roby e Susy 2002) poi finiti male (Susy sei una stronza, 2003) come tutti gli amori viscerali; e ancora aforismi filosofici (La vita è una strada e siamo finiti in un labirinto), falci e martelli, svastiche e poi nomi, cognomi, soprannomi ammonticchiati gli uni sugli altri — come strati di ere geologiche — dei tanti che hanno messo per iscritto il proprio passaggio in quel luogo remoto. Negli ultimi mesi, su un pezzo di muro è apparsa finanche l’apocalittica insegna: “COVID 2020”.

Perché scrivo tutto ciò? Perché la caserma di Punta Giglio, in questi giorni, è su tutti i giornali: a seguito di un bando pubblicato nel 2017 dal demanio, infatti, ad aggiudicarsi la riqualificazione dell’edificio è stata una cooperativa milanese (nessuno è perfetto) che intende convertire l’edificio di un “Rifugio di mare” con una ventina di posti letto e vasca ludica (una sorta di piccola piscina), conservandone però la memoria di edificio bellico. In questi quattro anni nessun dubbio è stato sollevato, nessuna petizione; poi, con l’apparizione della prima ruspa, è insorta la rivolta. Anche l’amico Michele di cui sopra mi ha chiamato dal continente chiedendomi cosa stesse accadendo, se fosse davvero una speculazione o un giusto compromesso tra valorizzazione economica e tutela storico-ambientale. «Stiamo invecchiando, Miche’» gli ho detto, «questa è l’unica cosa sicura.»

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Ignazio Caruso

Nato a Catania, vivo ad Alghero. Adeu (Giulio Perrone Editore) è il mio primo romanzo.